LA PRIMA REGOLA PER AVERE SUCCESSO? NON AVERLO.

Pensieri Divergenti
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Partiamo da una comunicazione di servizio: questo articolo è stato scritto con il supporto di ChatGPT. E non perché ci servisse un chissà quale particolare “aiutino” in fase di ricerca e/o di editing, ma perché per inaugurare una rubrica dedicata a tutti i più grandi (apparenti) epic fail che si sono trasformati in alcuni tra i più grandi (autentici) trionfi planetari ci sembrava opportuno onorare simbolicamente quello più vicino a noi in ordine di tempo: il chatbot.

Come qualcuno senz’altro ricorderà, di chatbot il mainstream ha iniziato a parlare nel lontano 2018, allorquando KLM decise di sperimentare un’esperienza di prenotazione dei propri biglietti sul Messenger di Facebook, attraverso una procedura interattiva e automatizzata di dialogo con l’utente. Da allora, per qualche mese, l’Internet venne sommerso da una parte da un florilegio di proclami che dipingevano i chatbot come “The Next Big Thing” per risolvere ogni potenziale esigenza di customer care e, dall’altra, da uno sciame di progetti partoriti in mezza giornata – tale pareva essere lo sforzo massimo necessario all’uopo – condannati a risolversi, nel breve volgere di una manciata di messaggi, nei più sanguinari anatemi che mai essere umano abbia rivolto a un display, a uno smartphone e/o a un’applicazione.

Perché, ammettiamolo: a noi early adopters l’idea di smascherare l’ennesimo bluff stuzzica almeno tanto quanto quella di cavalcare l’ennesimo hype, e facevamo in modo di arrivare al fatidico, immancabile cul de sac nel minor numero di interazioni possibili per dimostrare che no, il chatbot non era affatto “The Next Big Thing” e mai lo sarebbe stato.

Ci sbagliavamo. Eccome, se ci sbagliavamo.

E qui facciamo un attimo un passo indietro. Perché ci stanno così a cuore gli epic fail che sono diventati trionfi, al punto da tributare loro uno spazio apposito su Divergens Magazine?

È presto detto: perché testimoniano che l’errore è generativo e che non c’è niente di più “divergente” – nell’attuale sistema sociale e produttivo – del prenderne atto, accettarlo e convertirlo in un insegnamento funzionale al cambiamento.

Vale per noi, ovviamente, così come vale soprattutto per il chatbot, che ha fatto tesoro di tutte le criticità iniziali di implementazione, di posizionamento e di UX e si è trasformato nel migliore amico dell’uomo dopo il cane (ma per taluni forse anche prima).

Grazie a ChatGPT, infatti, scopriamo che sono decine i brand e i prodotti nati da errori e insuccessi: il Post-It, per esempio, che doveva originariamente essere un adesivo potentissimo ma che invece, scopertosi un collante poco più che meh, è diventato l’ideale per attaccare e rimuovere appunti; la Coca Cola, creata come farmaco contro il mal di testa i cui benefici reali si rivelarono del tutto immaginari; il Play-Doh, concepito inizialmente come pasta per pulire le pareti e diventato uno dei giochi per bambini più conosciuti al mondo; perfino il Viagra, il cui proverbiale supporto alle virtù – e ai vizi – maschili sarebbe un effetto avverso non previsto.

E con essi la penicillina, il gorgonzola, i raggi X, il forno a microonde. Tutti esempi di come mettersi nell’ottica di essere fallibili e fare tesoro dell’insegnamento insito nel fallimento sia l’anticamera per raggiungere la Gloria.

Non è retorica consolatoria né aneddotica da bar un tanto al chilo, ma buon senso, logica e statistica. Oltre a una indispensabile dose di divergenza nei confronti non solo di chi è stuzzicato dallo smascherare i bluff, ma soprattutto di sé stessi.

Redazione Divergens
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