Cosa significa per te "Essere Divergens"?
“Essere Divergens” per me significa impegnarmi per pensare con la mia testa, fuori dai soliti schemi. Significa documentarmi, studiare e poi approcciarmi alle tematiche proprie della mia professione in modo creativo.
Quale pensi che sia il principale avversario da combattere per un Divergens?
L’avversario principale per un Divergens è il “si è sempre fatto così”, è l’abitudinarietà delle connessioni sinaptiche.
Qual è l'esperienza più Divergens che hai fatto nella tua vita e/o nel tuo lavoro?
Rimettermi a studiare a quasi quarant’anni, mollando una carriera sicura nel marketing e ripartendo da zero con una professione eticamente utile in concomitanza con la nascita di mio figlio.
In che modo cerchi di contagiare chi ti sta intorno a diventare Divergens?
Organizzando corsi di meditazione e portando l’approccio del coaching nel mio quotidiano, ovvero facendo domande, a volte scomode.
Cosa ritieni che possa frenare maggiormente le persone a essere Divergens?
Due grandi paure: quella del giudizio e quella del fallimento (che il più delle volte, a un livello profondo, nasconde la paura del successo…).
E le aziende?
Il rischio economico che spesso accompagna le grandi trasformazioni e la resistenza delle risorse umane a rimettersi in gioco, uscendo dalla loro zona di confort.
E le istituzioni?
Interessi e pressioni politiche ed economiche che temo vadano oltre le mie competenze.
Ci sono dei modelli culturali di Divergenza che andrebbero insegnati a scuola? Se sì, quali?
Innanzitutto bisognerebbe spiegare ai bambini la teoria delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Khun: siamo abituati a credere che il progresso avvenga in modo lineare, secondo il principio del “siamo nani sulle spalle dei giganti”. Invece non è così: il progresso avviene per rivoluzioni, salti, in cui il nuovo parla una lingua non traducibile nel paradigma precedente.
Inoltre andrebbe completamente rivisto il ruolo di ciò che viene considerato “errore”, passando dal concetto di “sbaglio” al doppio significato di “errare”, cioè vagare, prendere una strada diversa dalla principale, ma che potrebbe condurci a nuove soluzioni.
Qual è il retaggio culturale che cancelleresti con un colpo di spugna, se ne avessi l'opportunità?
La tendenza a sopravvalutare la fase convergente del pensiero rispetto a quella divergente, aspetto che porta a generare idee schiave della mente giudicante e quindi per nulla creative e innovative.
Qualcuno un giorno scrisse «Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi». E se vogliamo che tutto cambi davvero, invece, cosa non dovrebbe rimanere com'è?
La scuola e la pervasività di utilizzo dei dispositivi digitali, specialmente tra i minori.